Yorgos Sapountzis | Sculptures Can Not Eat
Venezia, Biennale Arte 2017
And then, there was a critical moment when I took the decision to respect my intuition but also the materiality that I work with. And this respect did not come because it was a theoretical thing to respect something but I understood that materials are very very slow to develop and to start speaking for you but I say all the time, I will be artist for a long time… [Yorgos Sapountzis]
Yorgos Sapountzis è un artista greco di base a Berlino.
Da Atene a Berlino, dove si è trasferito quasi quindici anni fa, Sapountzis è riuscito a farsi strada e ad emanciparsi da due paesaggi intrinsecamente imbevuti di storia. Ha saputo sfidare storia e memoria nel loro reame: la piazza, occupando lo spazio pubblico, hackerando i monumenti. Lo ha fatto e continua a farlo con l'unico materiale di cui si fida: il suo corpo.
Sculptures can not eat è la sua risposta installativa all'invito di Christine Macel per VIVA ARTE VIVA, dove il lavoro di Sapountzis è presentato all'interno del padiglione transnazionale dello spazio comune. Quando ha ricevuto l'invito - ci dice l'artista - sapeva che nel suo lavoro, avrebbe fatto il punto di tutta la sua ricerca estetica, concettuale, dei media e materiali che usa e che con lui sono maturati nel corso degli anni.
Sculptures can not eat è un ambiente concluso ma allo stesso tempo poroso: una fragile costruzione di tubi di alluminio e tessuto, segna i confini di un corridoio che conduce a una proiezione video - il film è stato girato dall'artista nel suo studio di Berlino - e a un'installazione scultore fatta di vasetti di sottaceti e gesso. Piuttosto che competere con lo spazio e i mega-volumi delle Corderie, ha creato un ambiente in grado di innescare un buon dialogo con il corpo che - dice Sapountzis - è un luogo di iscrizione della storia [the body is a site where history is written].
Il Padiglione dello Spazio Comune è concepito da Macel attorno all'opera di artisti le cui opere si interrogano sul concetto del collettivo, sul modo di costruire una comunità che va oltre l'individualismo e gli interessi specifici. In questi termini, il frequente spostamento di Sapountzis dallo spazio pubblico allo spazio privato del proprio studio è un interessante spostamento nella riflessione intorno allo studio d'artista come spazio pubblico alternativo, spazio di comunità.
Gustave Courbet, L'atelier del pittore, allegoria reale che determina sette anni della mia vita artistica e morale, 1884-85, Museo d'Orsay, Parigi.
Lo abbiamo incontrato a Firenze, dove torna spesso dopo l'anno di residenza trascorso a Villa Romana e abbiamo parlato di monumentalità e performatività, della relazione tra corpo e monumento tra permanenza e scomparsa/distruzione, di storia e dell'urgenza di non sovraiscrivervi altre immagini ma di minare quelle esistenti con la precarietà dei gesti e dei materiali effimeri. Ecco perchè usa i sottaceto...
La conversazione è accompagnata da alcuni estratti sonori dall'intervista e dalla musica di Øyvind Torvund. Il compositore norvegese ha collaborato spesso con Sapuntzis e ciò che sentirete è la musica che ha composto per il suo ultimo film presentato a Venezia.